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domenica 1 settembre 2013


Il tamburello
Il tamburello è uno strumento musicale a percussione a suono indeterminato, appartenente alla categoria dei membranofoni; diffuso in tutto il Mediterraneo meridionale, in Italia si trova specialmente nelle regioni centro-meridionali.



Il tamburello in Calabria


In Calabria il tamburello (tammurrinu, tammureddu) è diffuso su scala regionale ed è tuttora molto usato per accompagnare la danza tradizionale — tarantella — per l'esecuzione della quale si richiede un forte sostegno ritmico (Tav. IV b e Tav. V a). Soprattutto in provincia di Reggio Calabria si rileva l'importanza di questo membranofono, che appare lo strumento a percussione per eccellenza, di cui non si può fare a meno e che, anzi, si ama moltiplicare nelle esecuzioni. É l'unico strumento suonato anche dalla donne e, benché venga praticato da ambo i sessi e molti uomini ne siano grandi virtuosi, il sua carattere femminile — simbolicamente e storicamente determinato — traspare di continuo. É inoltre strumento largamente praticato anche dalle giovani generazioni. Il tamburello, le cui dimensioni variano dai 15 ai 50 cm di diametro, viene molto spesso costruito direttamente dai chi lo suona. Ma vi sono anche dei costruttori che operano in botteghe specializzate — ad esempio a Seminara (RC) — e portano a vendere i propri prodotti nelle fiere e nelle feste religiose. La costruzione dello strumento prende avvio dalla concia, con sale e allume, della pelle, che per lo più è di capretto ma anche di coniglio e persino di gatto. Ancora bagnata, la pelle viene tesa su una cornice — ricavata da una stretta striscia di legno modellata a cerchio — e fissata intorno ad essa con colla e chiodi, a volte con l'aggiunta di un controcerchio di legno. Lungo la cornice sono aperti degli alloggiamenti rettangolari in cui sono inserite coppie di piattini metallici, battuti e temperati, assicurati mediante filo di ferro. I costruttori usano decorare lo strumento con piccoli motivi floreali dipinti lungo la cornice o con scene di argomento cavalleresco affrescate sulla pelle. A volte, per ottenere una sonorità più morbida e "ovattata", la pelle non viene completamente rasata del pelo, che resta in evidenza sulla superficie interna del tamburo. Inoltre, per esaltare il volume e le frequenze acute dei piattini, si usa a volte sospendere, in vario modo, campanelli e bubboli all'interno della cornice (Tav. IV b). Il tamburello viene suonato afferrando la cornice dal basso con la mano sinistra e percuotendo la pelle con la mano destra, utilizzando la punta delle dita, il palmo, il polso, secondo varie tecniche. Nelle esecuzioni l'accompagnamento percussivo dello strumento è caratterizzato da frequenti ambiguità ritmiche (alternanza nella stessa battuta di figure binarie, semplici o puntate, e ternarie.











Nella foto il maestro di tarantella calabrese
Ciccio Nucera con un gruppo di allievi



La costruzione del tamburello

tamburelli di varie dimensioni e suoni costruiti accuratamente dal maestro Andrea Anghelone (Reggio Calabria) che coltiva la passione di suonare e far suonare questi strumenti.


 il cerchio o telaio è costruito in faggio con anni di stagionatura che arriva direttamente nelle mie mani e dopo un accurata
selezione viene girato e lasciato stagionare fin quando è pronto per essere messa la pelle






  
le pelli
adoperate sono solo di capretto di pochi mesi, che vengono raccolte direttamente dai massari della Calabria e dopo un'accurata concia vengono lasciate essiccare per poi essere preparate ad essere messe sui telai  

 











 i cimboli   vengono tagliati singolarmente con un diametro che varia a seconda delle dimensioni della cassa del tamburello e vengono ribattuti con uno stampo che generalmente viene fatto in base alle esigenze del suonatore, successivamente vengono temperati fase importantissima anche questa perchè la tempera da il giusto equilibrio suono durata di questi ultimi.



La zampogna

La zampogna (il cui nome deriva probabilmente dal greco symphonia) è un antico strumento musicale.



        Storia della zampogna                                                                                                                                                            
Ritenuta, nell’antichità classica, esito della trasformazione del flauto, o siringa, del dio Pan. In latino si chiamava "utricularium" e tra i suonatori dell'antichità si annovera l'imperatore romano Nerone. Dal medioevo all’età moderna si diversificò in varie tipologie territoriali, tra cui la cornamusa scozzese e irlandese, a insufflazione (immissione di aria in una cavità, un otre di pelle nel caso specifico) indiretta, la musetta francese e la piva.



La zampogna è un aerofono a sacco dotato da 4-5 canne che vengono inserite in un ceppo dove viene legata l'otre. Solo 2 canne sono strumento di canto mentre le altre fanno da bordone (suonano una nota fissa). Le canne terminano con delle ance che possono essere singole o doppie, tradizionalmente realizzati in canna (recentemente anche in plastica).

La sacca di accumulo dell'aria (otre) è realizzata con una intera pelle di capra o di pecora (utricolo) (oggi anche da altri materiali o da una camera d'aria di gomma), nella quale il suonatore immette aria attraverso un insufflatore (cannetta o soffietto) che mette in vibrazione le ance innestate sulle canne melodiche: sempre due, quella destra per la melodia, quella sinistra per l'accompagnamento e nei bordoni detti basso e scantillo.
Le zampogne del basso Lazio (Ciociaria, Valle di Comino), del Molise (Scapoli, Castelnuovo al Volturno e San Polo Matese), della Basilicata e della Sicilia (Siracusa Agrigento Palermo) sono costituite con ance doppie, mentre nella "surdulina" tipica di Basilicata e nord Calabria (soprattutto nei paesi di origine Arbereshe) e nella ciaramella del Catanzarese e la ciaramèddha di Reggio Calabria, Agrigento, Catania e Messina si usano le ance semplici oppure le "cannizzole" (canne intere a sezione molto piccola).
Esiste una grande varietà nella lunghezza dei diversi tipi di zampogne. Mentre nell'Italia meridionale, l'unità di misura utilizzata per indicare la lunghezza della zampogna è il "palmo", nell'Italia centrale la misura (e quindi la tonalità) dello strumento viene indicata, in modo alquanto insolito, con un numero (ad es. 25) corrispondente alla lunghezza in centimetri del fuso della ciaramella corrispondente.

La zampogna in Calabria
La Zampogna detta anche in dialetto calabrese Ciarameddha o Ciarammeddhra o Ciaramida viene usata per suonare motivi pastorali, sonate a ballu, fanfarre o canti ad aria. Si declina in sei versioni principali e tre varianti minori nell'area calabrese:
Zampogna "a moderna" diffusa nell'area dell'Aspromonte greco.
Zampogna a paru diffusa nella Provincia di Reggio Calabria e in quella di Messina.
Zampogna a chiave delle Serre originaria dell'area delle Serre Calabresi, nata nell'Ottocento e diffusa nella Provincia di Vibo Valentia, in gran parte della Provincia di Catanzaro, nella parte settentrionale della Provincia di Reggio Calabria e in una piccola area intorno a Rogliano in Provincia di Cosenza. È presente in due modelli principali, romani e menzetti. Ha 5 canne. I nomi sono: destra, manca, la più piccola cardìu (in italiano: cardellino), terza o masculu ed infine trumbuni per le note basse e per dare la tonica della scala. Possiede una chiave per poter raggiungere una nota che col dito non riuscirebbe a raggiungere.
Zampogna nostrale o Conflentana diffusa nell'area del Reventino e della pre-Sila catanzarese.
Surdulina diffusa nelle province di Catanzaro, Cosenza e Crotone e caratteristica in particolare delle comunità albanesi.
Zampogna a chiave calabro-lucana diffusa in tutta l'area del Pollino, in origine era uno strumento solista, oggi con le innovazioni dello zampognaro Lanza e i più frequenti contatti con altre aree della Calabria viene suonata anche con la ciaramella.
Inoltre vi sono altre tipologie di zampogne meno diffuse: la Stifette e le Cornette nell'area di Mesoraca, in Provincia di Crotone e i Terzaroli nell'area di diffusione della Zampogna a chiave delle Serre.





Nella foto il maestro Giovanni Mellace